Antonio Girlanda ssp

L’attività apostolica di San Paolo come Modello del Carisma Paolino

Presenza all’origine e nello sviluppo della Famiglia Paolina

COME MODELLO DEL CARISMA PAOLINO
Presenza all’origine e nello sviluppo della Famiglia Paolina

Antonio Girlanda, SSP

Introduzione

Don Alberione è rimasto affascinato da Paolo così da vedere la persona e la missione del grande apostolo quasi come un riferimento ideale per la propria missione. E vedendo la sua opera crescere e consolidarsi, ha potuto dire e scrivere che «non lui, ha fondato la Famiglia Paolina, ma S. Paolo stesso ne è il fondatore, il modello, il protettore, il padre; è lui che ha cercato noi, non noi che abbiamo cercato lui» (AD, 2).

Ma «prima di mettere l’Istituto sotto la protezione di S. Paolo Apostolo si è pregato molto. Si voleva un santo che eccellesse in santità e nello stesso tempo fosse esempio di apostolato. San Paolo ha unito in sé la santità e l’apostolato» dice Don Alberione in una delle sue prediche.

Sembra però che egli avesse qualche timore a indicare subito l’apostolo Paolo non solo come un Protettore, ma come la figura quasi emblematica e di riferimento della sua opera, o istituzione. Come sappiamo, all’inizio l’aveva chiamata “Scuola tipografica” per i ragazzi, e per le ragazze “Laboratorio femminile”. Questi nomi generici, che per sé non dicono niente di significativo, avevano però dietro di sé il nome di Don Alberione che diceva qualcosa, in tutta la diocesi albese. Solo sette anni dopo la fondazione (20 agosto 1914) nel bollettino Unione Cooperatori Buona Stampa del 15 luglio 1921 egli può scrivere: «Finalmente … vi è un numero sufficiente di persone che si sono legate come in una società di anime, di volontà, di cuori, per l’opera della Stampa buona… Ora si deve cominciare. Perciò la Casa prende il suo vero nome: Pia Società San Paolo».

Il fondatore della Famiglia Paolina non ha avuto paura di mirare in alto, impegnando i suoi figli e figlie a confrontarsi con un modello che non dà tregua: Paolo infatti appare sempre in una continua tensione di tutto se stesso nel compimento della missione affidatagli – «Guai a me se non annuncio il vangelo» (1Cor 9,16) – e sempre attento a valorizzare tutto ciò che poteva renderla sempre più efficace. Questo impegno senza sosta dovette essere uno degli elementi che, nonostante la grandezza del personaggio, lo fecero sentire a Don Alberione congeniale a se stesso e all’opera cui stava dando vita nella Chiesa: contribuire in modo originale ad evangelizzare il mondo nel sec. XX, come Paolo aveva fatto nel I secolo.

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