Don Eliseo Sgarbossa, ssp

La vita comunitaria paolina secondo Don Alberione

Premesse

  1. Mi è stato chiesto un contributo di ricerca sulla vita comunitaria paolina nel pensiero di Don Alberione, e una testimonianza personale in proposito. Vi aderisco ben volentieri, anche per un dovere di gratitudine verso la Congregazione, nella quale ho avuto il dono di esservi accolto e di viverci dal 1943, sperimentando la vita quotidiana di tre grandi comunità, in comunione fraterna, edificante e costruttiva nel senso pieno della parola.
  2. Quanto al pensiero del Fondatore sull’argomento, occorre dire subito che egli non parlò molto, esplicitamente, della vita comunitaria in sé stessa, come entità socio-religiosa quale si prospettò negli anni successivi al Vaticano II. Vi accennò in età avanzata, quando già centinaia di comunità avevano preso vita dalla sua opera. La comunità religiosa per lui era quella stabilita dal Codice di Diritto Canonico, come elemento istituzionale della vita consacrata, con un proprio regime disciplinare finalizzato a uno scopo. Egli si preoccupava piuttosto di come vivevano in concreto le sue comunità: le persone, le opere, i rapporti, gli ambienti: tutte le realtà personali e materiali in cui si incarna la vita delle comunità paoline. Ci occuperemo di queste, iniziando da un breve profilo storico.

  1. NASCITA E SVILUPPO DELLA COMUNITÀ PAOLINA

 

  1. Nell’opuscolo “Abundantes divitiæ” Don Alberione ci informa che in vista della fondazione «pensava dapprima ad un’organizzazione cattolica di scrittori, tecnici, librai, rivenditori cattolici», ai quali «dare indirizzo, lavoro,  spirito  d’apostolato». Ma «verso il 1910 fece un passo definitivo. Vide in una maggior luce: scrittori, tecnici, propagandisti, ma religiosi e religiose», persone viventi in comunità. E ciò per una serie di motivi: «Da una parte portare anime alla più alta perfezione, quella di chi pratica anche i consigli evangelici, ed al merito della vita apostolica [= spiritualità evangelica]. Dall’altra parte dare…

 

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